Tōn armōn, delle grotte – Il santuario di Santa Maria delle Armi, Cerchiara di Calabria. L’aspra roccia sovrasta l’estesa costruzione, che si compone di alcuni corpi collegati con quello principale, la chiesa. Situato sulle pendici del Monte Sellaro, il Santuario di Santa Maria delle Armi appare come un rocciatore che si sia fermato sulla nuda pietra per riposare, prima di riprendere la salita verso la vetta. La natura del Pollino è avvolgente, così pure il santuario è immerso nel verde, le sue pareti si accostano a quelle della montagna senza predominare per colori o per forme, lineari e pure.
Ton armon
Il silenzio regna sovrano, nessuno che lo spodesti, niente che lo turbi. Ho pronte le macchine fotografiche, rigorosamente settate affinché nulla dell’atmosfera venga compromesso. Sebbene non si presenti come un rifugio dove praticare l’ascetismo, si comprende come questo angolo di Cerchiara di Calabria invogli alla spiritualità più dedita; allo stesso modo si intuisce perché i monaci basiliani abbiano percorso le forme scoscese del Monte Sellaro per dedicarsi alla preghiera nei ripari naturali che la vetta offriva. Tōn armōn (delle grotte), dunque.
L’ingresso è turrito, con orologio, ma fa parte di uno dei corpi abitativi, varcata la soglia un breve percorso si snoda risalendo verso la chiesa. Mi viene in mente, pur accennato, un lavoro di un celebre fotografo di reportage, Saglietti, che ancora oggi sfoglio quando ho dei dubbi sulla mia, di fotografia, sul mio modo di approcciare il reportage. Un giorno ne parlerò diffusamente, promesso.
Lasciando fuori l’ego – delle grotte
La chiesa del Santuario di Santa Maria delle Armi è essenziale, ma non manca nulla. Le dimensioni accolgono adeguatamente l’uomo, lasciando fuori l’ego, qui si entra in punta di piedi, con animo aperto alla meditazione. La semplicità del luogo appaga l’animo, le volte sono affrescate e se ne percepisce la cura. Lì dove c’è l’antico organo, il cielo si squarcia e il dipinto indica la via. Suggestivo.
La Madonna col Bambino, realizzata, si ritiene, da mano non umana, incuriosisce a prima occhiata; alla seconda, rapisce. Custodita in una sorta di teca ornata e tenuta da angeli dall’aspetto barocco, l’icona sacra è una flebile immagine mariana che porta a soffermarsi, a concedersi una dose di interiorità cosciente.
Fujinon 16mm f/2.8
Per gli scatti, alcuni dei quali si possono vedere nell’articolo realizzato per Secret Village, ho usato principalmente il Fujinon 16mm f/2.8, lente Fujifilm affidabile e dalla buona resa. Senz’altro il fratello maggiore f/1.4 ha migliori qualità ottiche, ma nei miei viaggi, specie quando mi sposto con due corpi macchina, la leggerezza si rivela un fattore essenziale. La lente Fuji è un’ottima compagna di trasferte, l’apertura è più che sufficiente a coprire le mie esigenze, pur se a f/2.8 risulta morbida, non troppo incisa. Non è necessariamente un minus, la resa si avvicina a quella di vecchie ottiche, cosa che non disdegno, anzi, ricerco.
L’angolo di campo è all’incirca quello di un 24mm, considerato che il sensore su cui è montato è un APS-C, ma non il suo comportamento a livello di parallasse. La costruzione è pur sempre quella di un 16mm, quindi tenere tutto in bolla e dominare le distorsioni non è un’attività semplice, se si stanno fotografando architetture. Diverso è per soggetti e situazioni, dove il discorso si fa relativo, dove la distorsione prospettica può costituire un elemento creativo.
In conclusione, l’uso del grandangolo
Più in generale, l’uso del grandangolo introduce una prospettiva diversa, enfatizza linee e forme, le immagini si fanno più dinamiche e si è costretti ad entrare di più in una situazione, per coglierne l’essenza (Robert Capa docet). La moltitudine di elementi che possono essere inseriti nel fotogramma può mettere in difficoltà, in alcuni contesti, ma la narrazione può giovarne a sua volta.
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