Diga di Monte Cotugno, un ponte sulla Basilicata. I miei momenti itineranti nelle terre del Sud si perdono nella notte dei tempi, ma questo intrigante luogo di terra e calcestruzzo mancava al personale appello ed ero intenzionato da anni a mettere riparo.
Verso la diga di Monte Cotugno
Campo base a Castellaneta Marina, nella Puglia tarantina, in una giornata agostana mi avvio verso il paese di Senise, in provincia di Potenza, attraversando il confine con la Basilicata tra la marina di Ginosa e la storica Metaponto. La temperatura, di per sé poco confortevole, è mitigata nel suo effetto accalorante da una brezza a basso tasso di umidità e leggermente più fresca, così spingermi nelle aree argillose e brulle non mi affligge più di tanto.
Con i due corpi macchina di cui parlerò più avanti, uno dei quali di backup, sono pronto per gli scatti di questo articolo e dell’articolo settimanale su Secret Village.
Il ponte sulla Basilicata
Non particolarmente annunciata dalla strada, la diga di Monte Cotugno si svela con risalendo un colle e attraversando una galleria. La prima impressione incuriosisce: a colpire è più il ponte che la diga in sé, poco appariscente nonostante vanti un primato non trascurabile. La diga di Monte Cotugno è, infatti, la più grande in Europa, tra quelle realizzate in terra battuta.
Il ponte, la SS 653 “della Valle del Sinni”, si percorre in auto e scattare è possibile solo con qualche contorsionismo che non sto a spiegare, ma è percorrendo le terre che si bagnano nel bacino che si colgono le emozioni più intense.
Entrambe le strutture sono maestose, certo, ma la diga con la sua graduale salita ed il coronamento semplice, dissimula la propria mole (sempre quella che gli è valsa il primato) che si impone sul fiume Sinni.
Attraverso la sponda, scendendo la prospettiva muta, sono quasi a livello delle acque della diga e gli elementi che prima equivalevano la mia altezza, ora si innalzano al cielo.
Approfitto di questa nuova visione del mondo per accogliere tanto di questa veduta con il Fujinon 16mm f/2.8 e per lasciarmi incantare dai colori offerti dal 23mm f/2, sempre Fujinon.
Le lenti Fujifilm e la X-T4
La distorsione del 16mm, focale che su Aps-c assume un angolo di campo all’incirca pari a quello di un 24mm, non è elevata, in certi momenti pare quasi che il Fuji 23mm sia più avvolgente (passatemi il termine). Questa volta ho usato di più la Fujifilm X-T4, relegando al compito di backup la X-T2, così da poterne esplorare meglio i confini. Ci metto un po’, ma poi traggo le mie conclusioni.
A livello di comfort il grip offerto è migliore, il corpo sfugge meno e di conseguenza minore è lo sforzo dei muscoli della mano per trattenerla. Non impazzisco per l’effetto gommoso del grip, ma riconosco che aiuta a tener salda la presa. I comandi sono nei posti giusti, il pulsante fn è un pizzico “infossato”, ma tutto si controlla bene. Mi sarei tenuta la ghiera per la selezione della modalità di misurazione esposimetrica sotto quella dei tempi, come nella XT-2, invece di vedermi comparire la selezione foto/video. Questa, però, è una questione di gusti ed utilizzo, mentre in generale le ghiere mi sembrano più contrastate nella XT-2: la Fuji XT-4 me la ritrovo spesso e volentieri con le impostazioni variate. Per le disquisizioni sulle caratteristiche dei file rimando ad una prossima trattazione, in questo articolo mi permetto solo di accennare ad una migliore tenuta ad alti iso.
In conclusione, la necessità di recarmi alla diga di Monte Cotugno per scrivere gli articoli del blog personale e per Secret Village, ha permesso di approfondire la le caratteristiche della nuova Fujifilm arrivata, oltre che di perdermi nella bellezza di questi luoghi.